Ha debuttato con grande successo al teatro Parioli di Roma POKER di Patrick Marber, regia di Antonio Zavatteri
Ecco qui la critica di Franco Cordelli per il Corriere della Sera.
Entra in sordina, nel sovraffollato programma teatrale di ottobre, lo spettacolo più coinvolgente che abbia visto da molto tempo a questa parte. Sto parlando di Poker, in scena al Parioli di Roma. Confesso, non me ne sarei accorto. Il Parioli è un teatro non di punta, al suo programma poco si bada. Ma il nome dell’autore Patrick Marber, è stato il campanello d’allarme.
Patrick Marber è un grande regista del National Theater di Londra. Avevo visto il suo Un mese in campagna di Turgenev nel 2015. Ma è anche un drammaturgo: l’autore di Closer, da cui nel 2004 Mike Nichols trasse un film; e uno sceneggiatore (Diario di uno scandalo, diretto da un altro regista d’eccellenza del National, Richard Eyre). In realtà Poker, che andò in scena per la prima volta nel 1995, è intitolato La scelta del mazziere. Si tratta, vorrei dire, di una classica commedia inglese.
C’è un fondo di serietà, che si fa luce poco a poco. Ma si ride, o sorride, in continuazione. Ci affascinano, o interessano, i suoi sei personaggi. Tutti hanno un tocco, una «sfumatura psicologica» (è una frase ironica del testo), che li distingue uno dall’altro. Non basta. Sono persone normali, non si vede in nessuno un tratto che potrebbe d’acchito colpire. Siamo in un ristorante di Londra. In cucina c’è un cuoco, Sweeney; e ci sono due camerieri, Frankie e Pollo. Nella sala accanto c’è Stephen, impegnato a rifare il logo del suo locale. Più tardi entreranno in scena Carl, il figlio di Stephen, e Ash, che sembra un normale avventore ed è un giocatore di professione, amico di Carl e, forse, più che amico, in ogni caso suo creditore (sempre che questo credito di quattromila sterline non nasca da un accordo dei due perché Stephen lo saldi). Il tratto di serietà, chiamiamolo così, lo si scoprirà nel secondo tempo, durante la notturna partita a poker.
Pollo, un sognatore (o un idealista), vorrebbe aprire un ristorante tutto suo. Stephen lo ammonisce: per riuscire nell’impresa occorrerebbero la competenza e la disciplina che Pollo non ha: lui non ha che istinto, pancia, spregiudicatezza: le virtù necessarie per vincere a poker. O per perdere.
Pollo in realtà perde sempre. Ma perde anche chi vince, come Stephen: lui perde per debolezza, di fronte all’ancor maggiore debolezza del figlio Carl. Francesco Montanari, che non conoscevo, è un attore formidabile, una rivelazione (come l’anno scorso lo fu Marco D’Amore), un vero performer, simpatico, che (si indovina) potrebbe recitare in mille altri ruoli. Antonio Zavatteri è Stephen, ed è anche il perfetto regista dello spettacolo. La misura è lo stile del suo personaggio e del suo lavoro.
Ma indiscutibili, da elogiare tutti a pieni voti, sono anche Alberto Giusta (Sweeney), Aldo Ottobrino (Franckie), Massimo Brizi (Ash) e Matteo Sintucci (Carl). Costoro costituiscono la compagnia Gank, non dimentichiamone il nome. E sono tutti, confermando quanto scrivo dal principio dell’anno, figli dello Stabile di Genova. Lo Stabile di Genova e il National Theater insieme è quanto di meglio offre la nostra scena teatrale. Poker Regia di Antonio Zavatteri
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